No inceneritore, si discarica: il paradosso dei rifiuti - Lavoce.info

2021-12-07 01:09:54 By : Mr. Jason Wong

La raccolta differenziata è indispensabile, ma restano i rifiuti non riciclabili, per i quali non esistono adeguati sistemi di chiusura del ciclo. Così il no agli inceneritori porta a situazioni gravi come quella di Roma. Con la discarica come unica soluzione.

No a inceneritori e soluzioni creative

Gli inceneritori non possono più essere etichettati come "macchine per uccidere" - se mai lo sono stati, oggi chiaramente non lo sono più. Così la colorita famiglia dei "no-inc" ha trovato l'argomento definitivo per continuare ad opporvisi. La combustione dei rifiuti per produrre energia e calore non sarebbe proposta come soluzione per gestire i rifiuti non riciclabili in quanto sarebbe "una soluzione del secolo scorso".

Nel nuovo secolo, invece, grazie all'economia circolare, ai nuovi materiali, alla raccolta differenziata iperselettiva, al divieto della plastica monouso, sarà possibile spingere il riciclo fino a quasi il 100%. Non ha quindi senso realizzare impianti che, una volta operativi, potrebbero non servire più.

Con tali sofismi, consigli regionali di ogni colore - in testa il Lazio di Nicola Zingaretti - hanno espulso gli impianti dai loro piani di gestione. In Toscana, al posto dell'impianto di Firenze il cui progetto si è arenato in Consiglio di Stato per qualche forma di vizio nell'iter autorizzativo, è stato proposto un accordo con Eni per destinare i rifiuti di metà regione a una tecnologia non meglio precisata che trasformare quelli non riciclabili in idrocarburi utilizzabili nei normali processi di combustione, che non so sia mai stato testato su scala industriale.

Ora, si potrebbe sostenere che la ruota sia una soluzione inventata qualche millennio fa, ma non smettiamo di usarla, poiché le alternative per ridurre l'attrito - levitazione magnetica, cuscino d'aria - sono ancora poco pratiche e troppo costose. , e il teletrasporto è attualmente applicato solo nei film di fantascienza.

Ma più delle battute contano i fatti. E i fatti ci dicono che l'illusione di far sparire i rifiuti con la raccolta differenziata nasconde il solito trucco di trasformare i rifiuti urbani in rifiuti speciali, scaricando a valle sulle aziende di riciclaggio l'onere dello smaltimento dei rifiuti, tanto maggiore quanto peggiore qualità del materiale raccolto. Ciò si verifica generalmente quando si perseguono livelli più elevati di raccolta differenziata. Se non altro perché nel riciclo finiranno anche tutti quei materiali misti – polimeri non riciclabili, poliaccoppiati – che attualmente non sono riciclabili.

Troppo spesso i successi dei modelli di gestione del “riciclaggio”, come quello del Veneto orientale, vengono celebrati contrapponendoli a quelli che fanno uso di impianti di incenerimento. Ma si dimentica di osservare che le raccolte differenziate super spinte generano a valle rifiuti molto maggiori, sui quali però è molto difficile avere dati attendibili perché affluiscono agli impianti insieme a molte altre frazioni più pulite. Anche Ispra non aiuta, fornendo tanti numeri, ma non quelli che servirebbero. In ogni caso, sapendoli leggere, i dati forniscono almeno qualche indizio.

Ad esempio, secondo il rapporto di sostenibilità di Contarina (Treviso), il rifiuto secco riciclabile che proviene dalla raccolta differenziata (qui sfiora il 90 per cento, un record praticamente mondiale) è gestito per metà nei propri impianti e per la parte restante in impianti di terzi. Per il flusso trattato “in casa” si riporta il bilancio di massa, secondo il quale circa il 30 per cento è costituito da rifiuti. Nulla si dice dei flussi che vengono elaborati in impianti di terzi. Se assumiamo che la frazione di impurità sia la stessa, si può dedurre che il vero riciclaggio, nel migliore dei casi, può raggiungere il 60-70 per cento. Gli obiettivi fissati dall'UE per il 2035 prevedono invece il 65 per cento di riciclo e un flusso in discarica non superiore al 10 per cento (in cui devono trovare posto tutti i sottoprodotti dello smaltimento).

Tutto questo accade a Treviso, in una zona che permette una raccolta selettiva e capillare anche nel centro storico: cosa molto difficile da immaginare in una grande metropoli come Roma.

Dal canto loro, le tecnologie per ottenere combustibili alternativi da rifiuti non riciclabili - siano idrogeno, gas metano o altro - sono ancora troppo lontane dalla fattibilità industriale su larga scala e hanno costi ancora largamente sconosciuti, per non parlare dei rifiuti a valle che andrebbe comunque gestito.

Il fatto che questi rifiuti non riciclabili cessino di essere un problema per l'operatore - che può quindi fare a meno dei propri termovalorizzatori - non significa che cessino di essere un problema per il Paese. Gli operatori del settore lamentano da tempo la cronica mancanza di impianti adeguati per chiudere il ciclo, in assenza dei quali questi rifiuti sono destinati a intraprendere la strada dell'export - con i risultati chiaramente evidenziati anche in queste colonne. 

Ma se almeno nel campo degli impianti di trattamento dei rifiuti qualcosa sembra muoversi, sull'altro fronte “inceneritore” resta una parola tabù. Anche dove la situazione è drammatica, come a Roma. Bastano due numeri in croce per capire che senza un sistema adeguato la Capitale non potrà mai sottrarsi alla morsa dell'emergenza. Nemmeno l'ormai ex amministratore unico dell'Ama, Stefano Zaghis, seppur nominato dalla giunta più no-inc che si possa immaginare, non ne aveva fatto mistero, ottenendo in risposta gelo (questo era l'unico argomento su cui Nicola Zingaretti e Virginia Raggi erano d'accordo) . Tutto questo però era chiaro quando la discarica Malagrotta di Manlio Cerroni era ancora lì, ma le successive amministrazioni hanno preferito sopravvivere fino alla fine del mandato, per non dover pronunciare la "parola proibita".

Fu così che Roma si trovò a sperimentare un modello sui generis di economia circolare: i rifiuti si trasformano in sterco animale, materiale che, essendo bestie feroci e gabbiani, non viene nemmeno classificato come rifiuto, consentendo una singolare forma di “fine del sciupare ". In pratica, come si faceva nel medioevo, quando i rifiuti venivano abbandonati per le strade, e per farli sparire, provvedevano maiali e capre. 

Alle "soluzioni del secolo scorso", evidentemente, si preferiscono quelle del millennio passato. Ma niente paura: per salvare la capitale dalla sporcizia dell'emergenza rifiuti, la soluzione dei nuovi tempi si profila all'orizzonte: una bellissima discarica. Si tratta solo di decidere dove farlo, ma non ho dubbi che sarà solo questione di tempo. Durerà finché dura - lo spazio di una legislatura o forse anche di due, se lo fanno abbastanza grande, e se puoi contare su qualche benedetta estensione. Chi però spera che, finita la vita utile della nuova Malagrotta, magari per intercessione di Padre Pio, l'economia circolare sarà finalmente decollata, potrebbe trovarsi di fronte a brutte sorprese. E non saranno i biodigestori previsti – per quanto indispensabili – a chiudere la partita.

Mentre auguro al nuovo sindaco Roberto Gualtieri buon lavoro e buona fortuna - ne ha bisogno - mi permetto un suggerimento. 

Da quasi duemila anni Roma non ha un centro termale degno di questo nome. Le ultime terme furono quelle di Caracalla, da tempo in disuso. Se stai sciando a Copenaghen sull'inceneritore, perché non immaginarti un grande parco acquatico a Roma con piscine giganti, laghi artificiali riscaldati, hammam e saune, impianti sportivi e palestre, magari in un bellissimo parco tematico dedicato alla ricostruzione dal vero del mondo degli antichi romani? Dove il turista può trascorrere qualche giorno vestito in toga, incontrare Cicerone e Muzio Scevola, cenare sdraiato sul triclinio, assistere a (finti) spettacoli di gladiatori, e andare, appunto, alle terme? 

Il tutto alimentato da un moderno sistema, che utilizza le migliori tecnologie, compresa la cattura della CO2? Per la pianta si potrebbe usare il nome di Vesta, l'antica dea della casa. Si parte con un bel concorso di idee, non ho dubbi che le archistar internazionali si metteranno in fila per presentarsi.

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Laureato in Economia Politica presso l'Università Bocconi nel 1990, è attualmente professore associato di Economia Applicata presso l'Università degli Studi di Udine e borsista di centri di ricerca quali GREEN (Università Bocconi) e SEEDS (interuniversitario). La sua attività di ricerca si colloca all'incrocio tra le politiche ambientali e l'organizzazione e regolamentazione dei servizi pubblici ambientali ed energetici. Oltre alla ricerca accademica, svolge un'intensa attività di divulgazione; tra le sue pubblicazioni dedicate al pubblico extra-accademico ci sono i volumi pubblicati per il mulino nella collana “Farsi un'idea” (Acqua e rifiuti) e i saggi “Privati ​​acqua? Tra bene comune e mercato” e “Un mondo senza sprechi? Viaggio nell'economia circolare”, sempre per il Mulino.

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