Il piano di risparmio dei consumi del Mite ci salverà dalla crisi industriale del gas? Forse no… - industria italiana

2022-10-08 21:56:11 By : Mr. Kent Wong

L’Italia potrebbe rimanere senza gas il prossimo marzo e non riuscire a sostituire il gas russo prima del 2025. Nessun allarmismo: solo numeri. Se la Russia bloccasse del tutto l’export, in assenza di un adeguato risparmio dei consumi, le scorte si esaurirebbero in pochi mesi e non si riuscirebbe in tempi rapidi ad acquistare la materia prima altrove. Ed è vero che il governo ha appena pubblicato il suo piano di contenimento dei consumi sul sito del Ministero della Transizione Ecologica, retto da Roberto Cingolani, con l’obiettivo di risparmiare fino al 15% del consumo annuo nazionale di gas. Il tema è che però gran parte di questo risparmio (oltre 5 miliardi di metri cubi sugli 8,2 totali) dipende da una serie di azioni volontarie che cadranno sulle famiglie (mentre si discute ancora del fronte dell’industria). Si tratta di misure di buonsenso legate principalmente alla diminuzione delle ore in cui i termosifoni saranno accessi negli appartamenti e delle temperature di regime, oltre a qualche altro accorgimento nella vita quotidiana mirato a evitare gli sprechi (dalla cottura dei cibi a fuoco spento, alle docce più brevi). Altri 2,1 miliardi di metri cubi si potranno risparmiare con la massimizzazione della produzione di energia elettrica da combustibili diversi dal gas. Il tema è che, a parte l’ultima, le altre misure non sono misurabili. E dunque rischiano di essere fallimentari.

Certamente si tratta delle misure più facilmente attuabili nell’immediato e con un costo contenuto per un paese come il nostro che ha tradizionalmente rinunciato all’autonomia energetica, per esempio rifiutando il nucleare e guardato con sospetto le trivelle che avrebbero potuto sfruttare i giacimenti che pure possediamo. Ci sarebbero state altre vie? Sì, quella degli incentivi per il risparmio (al posto dei sussidi per il taglio della bolletta per cui l’Italia ha già speso il 2,8% del Pil); o azioni più misurabili, come l’estensione dello smart working e una dad parziale almeno all’università o ancora l’incentivo e la promozione delle comunità energetiche basate sull’autoproduzione e la condivisione dell’energia. Sono le idee raccolte dagli esperti che Industria Italiana ha interpellato: Silvia Merler, head of Esg and policy research di Algebris; il professor Davide Chiaroni, vicedirettore di Energy & Strategy della School of Management del Polimi e il professor Giulio Sapelli, noto storico dell’economia italiana.

Analizziamo innanzitutto il contenuto del piano italiano di contenimento del gas. Innanzitutto, esso sintetizza le misure adottate immediatamente a ridosso dello scoppio del conflitto ucraino e le misure strutturali che serviranno a sostituire il gas russo. Immediatamente è stato assicurato un elevato grado di riempimento degli stoccaggi per l’inverno 2022- 2023 (al primo settembre il riempimento era dell’83%, un livello coerente con l’obiettivo finale del 90%). La seconda azione è consistita nella diversificazione rapida della provenienza del gas importato, massimizzando l’utilizzo delle infrastrutture disponibili e aumentando contestualmente la capacità nazionale di rigassificazione di Gnl.

A tal proposito è stato siglato un accordo per il graduale aumento delle forniture di gas dall’Algeria, che consentirà di sfruttare al massimo le attuali capacità disponibili di trasporto del gasdotto che approda in Sicilia, fornendo volumi crescenti di gas già a partire dal 2022. Sono state anche incrementate nel breve termine le importazioni dal gasdotto Tap, la cui società ha inoltre avviato le interlocuzioni per realizzare il raddoppio della capacità di trasporto, che non necessita di interventi tecnici sul tratto italiano del gasdotto. Inoltre, il Governo, in coordinamento con Eni e con Snam, si è attivato per garantire approvvigionamenti di Gnl da nuove rotte, in particolare: sino a 3,5 miliardi di smc dall’Egitto, sino a 1,4 miliardi di smc dal Qatar, sino a 4,6 miliardi di smc progressivamente dal Congo, e circa 3,0-3,5 miliardi di smc da forniture in fase di negoziazione da atri Paesi quali Angola, Nigeria, Mozambico, Indonesia e Libia. Per poter sostituire le forniture di gas provenienti dalla Russia, è necessario incrementare la dotazione di infrastrutture del gas: occorrono in particolare nuovi terminali di rigassificazione di Gnl, che saranno per lo più strutture galleggianti, più flessibili e con minori tempi di realizzazione rispetto alle strutture fisse, oltre che più coerenti con la politica di decarbonizzazione del sistema energetico.

L’insieme delle iniziative messe in campo consente di sostituire entro il 2025 circa 30 miliardi di smc di gas russo con circa 25 miliardi di smc di gas di diversa provenienza.

La strada è dunque lunga e pertanto il governo ha ritenuto opportuno attuare un Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas, in linea con le indicazioni della Commissione europea, definite nel Regolamento (UE) 2022/1369 del 5 agosto 2022. Il regolamento prevede una riduzione obbligatoria del 15% in termini di consumi energetici per gli Stati in caso di Allerta Ue (che per l’Italia sono state ridotte al 7%, ovvero a 3,6 miliardi di smc di gas naturale, rispetto agli oltre 50 di consumo complessivo). E una riduzione “volontaria” di almeno un altro 15%.

Le misure, che in parte sono già avviate, riguardano segnatamente:

Senza considerare il contenimento dei consumi nell’industria, le altre voci insieme porterebbero a una riduzione dei consumi coerente con il 15% del Regolamento Ue, pari quindi almeno a 8,2 miliardi di smc di gas naturale. Il Piano di contenimento dei consumi in caso di “Allerta UE” si basa soprattutto sulle misure sub a) e b) che da sole permettono anche di superare i 3,6 miliardi di smc per la riduzione obbligatoria.

Ma, come accennato, si tratta di calcoli aleatori, in quanto le misure sono volontarie e non controllabili. In particolare, la misura di contenimento nel riscaldamento prevede l’introduzione di limiti di temperatura negli ambienti, di ore giornaliere di accensione e di durata del periodo di riscaldamento, in funzione delle fasce climatiche in cui è suddiviso il territorio italiano. Per le abitazioni civili, si prevede una riduzione del periodo di riscaldamento di 15 giorni, di un’ora al giorno, e una temperatura di 19 gradi. Ma lo stesso ministro parla di impossibilità di monitorare l’utenza diffusa, promettendo controlli a campione.

Ancora più difficile, per non dire impossibile, controllare le misure comportamentali (riportiamo: «riduzione della temperatura e della durata delle docce, l’utilizzo anche per il riscaldamento invernale delle pompe di calore elettriche usate per il condizionamento estivo, l’abbassamento del fuoco dopo l’ebollizione e la riduzione del tempo di accensione del forno, l’utilizzo di lavastoviglie e lavatrice a pieno carico, il distacco della spina di alimentazione della lavatrice quando non in funzione, lo spegnimento o l’inserimento della funzione a basso consumo del frigorifero quando in vacanza, non lasciare in stand by TV, decoder, dvd, la riduzione delle ore di accensione delle lampadine»). Da questi comportamenti virtuosi potrebbero derivare 2,7 miliardi di metri cubi di gas di risparmi. Ulteriori risparmi stimati in un miliardo di metri cubi possono conseguirsi con misure comportamentali che richiedono investimenti anche piccoli da parte degli utenti, ad esempio con investimenti per la sostituzione di elettrodomestici a più elevato consumo con quelli più efficienti, sostituzione di climatizzatori con quelli più efficienti, installazione di nuove pompe di calore elettriche in sostituzione delle vecchie caldaie a gas, installazione di pannelli solari termici per produrre acqua calda, sostituzione lampadine tradizionali con quelle a led.

Il risparmio energetico di per sé può essere strategico. Quello che qui si mette in discussione è evidentemente il modo maldestro in cui il governo italiano tenta di ottenerlo. Lo spiega bene un’analisi di Silvia Merler, head of Esg and policy research di Algebris, secondo cui «lo stoccaggio rappresenta in genere circa il 25% del consumo annuale di gas, pertanto se i flussi dovessero ridursi in modo significativo, lo stoccaggio si esaurirebbe rapidamente a livelli invariati di consumo di gas». E dunque è necessario un razionamento.

Il consumo di gas in Italia è diminuito di appena il 2% nei primi 6 mesi del 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021. «A questo ritmo di consumi, l’Italia resterebbe senza gas entro la primavera 2023, perfino se la Russia continuasse a inviare il 10% dei flussi», spiega Merler. La Germania che dipende dalla Russia in misura anche maggiore è invece già riuscita a risparmiare il fatidico 15%, soprattutto perché usa gas per produrre energia solo per il 15% del consumo totale (contro il 35% italiano) e ridurre il consumo in quest’area è in effetti problematico. Tuttavia, sempre nei primi sei mesi dell’anno la Germania ha risparmiato un 3% da questa voce rispetto alla media del triennio precedente, mentre noi abbiamo aumentato il consumo del 9%. In Germania il risparmio avviene a partire dall’industria. Da Audi a Basf ad Arcelor Mittal le industrie hanno dichiaro di poter sostituire importanti quantità del gas che usano con fonti diverse in tempi brevi.

«Finora il governo italiano si è concentrato maggiormente sul proteggere i consumatori dall’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia piuttosto che sull’incentivare il risparmio energetico a livello sistemico», scrive Algebris. L’Italia ha speso il 2,8% del pil in poco meno di un anno (uno dei tre maggiori interventi nell’Ue) per misure finalizzate a ridurre l’impatto dei prezzi sui consumatori.

«Il piano è stato costruito con criterio – dice Davide Chiaroni, professore del Polimi – perché in teoria consente di risparmiare il famoso 7% dell’Allerta Ue e anche il 15%. Ma c’è da dire che le norme comportamentali e volontarie sono difficili da attuare e quasi impossibili da controllare. La speranza è che le famiglie le applichino in base al fatto che di fronte al caro bollette tenderanno a risparmiare. Ma non mi aspetto un’accoglienza così capillare».

Il fronte grosso del risparmio è quello del riscaldamento domestico – che subirebbe una riduzione di orario giornaliero, di periodo di accensione e di controllo temperatura. «Dai nostri calcoli i numeri sono credibili: quel tipo di operazioni può portare alle riduzioni previste. Il calcolo è fatto su una fetta di famiglie molto alta – 80% ed è chiaro che si fa riferimento alle grandi città dove c’è un effetto condominio che funge da controllo. Ed è anche vero che nel contesto attuale con tanta sensibilizzazione di fronte al tema dell’energia, ci si può aspettare maggior responsabilità e attenzione. Il punto più complicato riguarda la temperatura interna. Per quelle realtà come gli uffici dove il meccanismo della temperatura è centralizzato e il settaggio è +2 e -2 gradi è più semplice. Nelle abitazioni private non c’è un controllo della temperatura all’interno degli edifici, solo sulla temperatura di mandata dell’acqua e sugli orari di accensione e spegnimento dove vige il riscaldamento centralizzato».

Insomma, se volessimo dare una patente a questo sistema «diremmo che per il 50-60% è ragionevolmente attuabile, il restante 40% si basa su un’assunzione di buon senso dei singoli cittadini – dice Chiaroni – È la cosa migliore che si poteva fare? È il massimo che si poteva fare senza toccare temi che con la fase di pandemia sono diventati un po’ un tabù». Temi come lo smart working, anche negli uffici pubblici (completamente bandito dalla gestione Brunetta), ma anche una dad parziale, almeno all’Università. «Un piano che deve lavorare sulle grandi quantità deve fare i conti con questi limiti – dice Chiaroni – Di certo questa azione ha il vantaggio di poter avere un impatto immediato e darà tempo al nuovo governo per identificare ulteriori misure. E speriamo che sia l’occasione per dotarsi finalmente di una certa autonomia energetica».

Una speranza che è la stessa del professor Giulio Sapelli. «Ciò che manca al piano del governo è una visione generale: quale che sia la scarsità dobbiamo continuare a garantire che ci sia rifornimento di fonti fossili o non, agli ospedali e alle industrie energivore. Su questi due punti il provvedimento non dice nulla. Ed è assurdo dopo aver superato una pandemia e aver testato l’importanza di una sanità efficiente e il peso del blocco delle produzioni sull’economia». Ma allora cosa si sarebbe dovuto fare? «Dovevamo favorire le comunità energetiche e dunque l’autoproduzione energetica, con incentivi fiscali», dice Sapelli – Una comunità energetica è un’associazione composta da enti pubblici locali, aziende, attività commerciali o cittadini privati, che si dotano di infrastrutture per la produzione di energia da fonti rinnovabili e l’autoconsumo attraverso un modello basato sulla condivisione. «L’autoregalazione demandata alle famiglie è invece vergognosa. Quanto all’industria, la strategia più efficiente prevede forme di economia circolare nello stesso ciclo produttivo, da applicare alla produzione, al recupero e al riciclo dell’energia».

Quanto all’aumento dell’export da altri luoghi o dalla ricerca di gas in casa, sono tutte strategie condivisibili ma per le quali «ci vogliono anni. Abbiamo gas nell’Adriatico, nell’Appennino, nel Canale di Sicilia: è roba nota, ma non abbiamo mai potuto estrarlo per una scelta politica. È stata messo in discussione anche l’impianto di rigassificazione di Ravenna che da decine di anni è un esempio di non inquinamenti, innovazione. Ed è colpevole che nel piano di contenimento dei consumi non ci sia una parola contro questa cosa, nessuna autocritica del passato».

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 13 settembre)

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